La banalità del Bene – Un’esperienza di Pace

Dario Amoroso d’Aragona – Bari 18

“Cosa possiamo fare noi per la Pace?” – Quando sentivo questa domanda la mia risposta interiorequella vera che avevo paura di esternare perché “inaccettabile”, “scorretta” era: “niente”.
Qualunque cosa io faccia di certo non fermerà i carri armati in Ucraina e le bombe su Gaza. Questo è evidente e varrà, quasi sicuramente, per tutti quelli che stanno leggendo queste righe.

Eppure continuano a chiedercelo, continuiamo a chiedercelo perché oggi la parola “Pace” abita le piazze, i discorsi, i post, le rivendicazioni. Ma ieri?  

La Pace oggi è tornata come urgenza perché abbiamo visto la Guerra, non che prima del 24 Febbraio 2024 il mondo fosse in Pace, però ci eravamo arrogati il lusso di sentirle lontane, di non pensarle nostre, ora che ci è impossibile ignorarle la parola “Pace” straborda da tutte le parti. E forse è proprio qui che risiede la risposta alla domanda “Cosa possiamo fare noi per la pace?”: possiamo non ignorarla, costruirla, giorno dopo giorno, passo dopo passo, non solo quando la Guerra è davanti ai nostri occhi, ma in ogni momento, costantemente, incessantemente.

La Pace non abita l’emergenzialità, abita il tempo lento delle nostre vite.

E lo abita anche in maniera così banale. La Pace è banale, o almeno lo dovrebbe essere per noi Capi. È banale perché significa mettersi al servizio degli ultimi. È banale perché significa essere cortesi, significa disinnescare quelle situazioni che invece ci prendono di pancia. È banale perché significa ascoltare prima di parlare. É banale perché significa fare servizio con i ragazzi alla stazione distribuendo un pasto caldo. È banale perchè significa mettere l’altro prima di me, e cosi qualcuno metterà me prima di lui. È banale perchèé significa rispettare l’altro, a prescindere. È banale perché significa non alzare la voce. È banale perché significa accogliere le diversità. È banale perché significa costruire e non distruggere. È banale perché significa partire da un conflitto per arrivare a una soluzione.

Ditemi se tutto questo non è banale, ditemi se non lo avete sentito e risentito ancor prima che il primo carro armato varcasse i confini ucraini.

Sarà che la Pace è banale, e questo banale è estremamente complesso.

“Don Tonino Bello vedeva la vita con gli occhi di chi gli stava davanti, non con i suoi”, così lo descrive uno dei “ragazzi di Don Tonino”. Ditemi se questo non è complesso. Ditemi se non è questo che dà vita alle banalità che ci permettono di costruire la Pace. 

Pensate a una situazione nella vostra vita che è spinosa, conflittuale, non in pace.

Proviamo a partire da lì, proviamo a togliere le spine e pian piano tornare nella città senza punte insieme a Giovannino*. Così la testimonieremo la Pace.

Proviamo a riconoscere la Pace nelle azioni “banali” che facciamo, nelle spine che togliamo dalle nostre vite, nel nostro servizio con i capi, nel nostro servizio con i ragazzi.

Se ci riusciamo educheremo alla Pace e se educhiamo costruttori di Pace riusciremo a costruirla davvero la Pace, un giorno. 

Oggi non fermiamo i carri armati, oggi non fermiamo le bombe, ma domani forse si.

Dobbiamo semplicemente non dimenticarci che tutto questo è Pace. Semplice e banale. 

Pensieri sparsi. EPPPI: Sulla Rotta della Pace.


*Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore.
Viaggia e viaggia, una volta capitò in un paese dove gli spigoli delle case erano rotondi, e i tetti non finivano a punta ma con una gobba dolcissima. Lungo la strada correva una siepe di rose e a Giovannino venne lì per lì l’idea di infilarsene una all’occhiello. Mentre coglieva la rosa faceva molta attenzione a non pungersi con le spine, ma si accorse subito che le spine non pungevano mica, non avevano punta e parevano di gomma, e facevano il solletico alla mano.
“Guarda, guarda” disse Giovannino ad alta voce. Di dietro la siepe si affacciò una guardia municipale, sorridendo.
“Non lo sapeva che è vietato cogliere le rose?”
“Mi dispiace, non ci ho pensato”.
“Allora pagherà soltanto mezza multa,” disse la guardia, che con quel sorriso avrebbe potuto benissimo esser l’omino di burro che portava Pinocchio al Paese dei Balocchi. Giovannino osservò che la guardia scriveva la multa con una matita senza punta, e gli scappò di dire:
“Scusi, mi fa vedere la sua sciabola?”
“Volentieri,” disse la guardia. E naturalmente nemmeno la sciabola aveva la punta. “Ma che paese è questo?” domandò Giovannino.
“Il Paese senza punta,” rispose la guardia, con tanta gentilezza che le sue parole si dovrebbero scrivere tutte con la lettera maiuscola.
“E per i chiodi come fate?”
“Li abbiamo aboliti da un pezzo, facciamo tutto con la colla. E adesso, per favore, mi dia due schiaffi”.
Giovannino spalancò la bocca come se dovesse inghiottire una torta intera.
“Per carità, non voglio mica finire in prigione per oltraggio a pubblico ufficiale. I due schiaffi, semmai, dovrei riceverli, non darli”.
“Ma qui si usa così”, spiegò gentilmente la guardia, “per una multa intera quattro schiaffi, per mezza multa due soli”.
“Alla guardia?”
“Alla guardia”.
“Ma è ingiusto, è terribile”.
“Certo che è ingiusto, certo che è terribile”, disse la guardia. “La cosa è tanto odiosa che la gente, per non essere costretta a schiaffeggiare dei poveretti senza colpa, si guarda bene dal fare niente contro la legge. Su, mi dia quei due schiaffi, e un’altra volta stia più attento”.
“Ma io non le voglio dare nemmeno un buffetto sulla guancia: le farò una carezza, invece”.
“Quand’è così”, concluse la guardia, “dovrò riaccompagnarla alla frontiera”.
E Giovannino, umiliatissimo, fu costretto ad abbandonare il Paese senza punta. Ma ancor oggi sogna di poterci tornare, per viverci nel più gentile dei modi, in una bella casetta col tetto senza punta.