Luna Park
RN24
Era da tempo che non provavo la sensazione di vertigine. L’ultima volta è stata durante una Route con il mio clan, in cima a una montagna, con il panorama che si apriva davanti. Giunse a me mediata dall’età anagrafica e da una relativa insicurezza interiore, come terra mancante sotto i piedi. Da allora sono passati diversi anni.
Ma il punto è un altro: perché parlo di vertigini qui, in un articolo dedicato al gioco in branca RS?
C’è una ragione. Una ragione che ha a che fare proprio con il gioco, quello vero, quello che si fa in clan.
Ero al Luna Park di Villa Buri, durante la Route Nazionale delle comunità capi, e camminavo senza una meta precisa, attratto dal l’atmosfera di festa, dai giochi, dalle costruzioni di pali intrecciati e da una barca che dondolava al ritmo di due capi che cercavano maldestramente di mantenere un equilibrio instabile.
Non lontano da lì, c’era un cartello con la scritta: Laboratorio Branca RS. Incuriosito, mi lasciai condurre lungo il sentiero dal brusio delle voci e dallo scalpiccio dei passi sulle foglie secche. Il laboratorio aveva come tema “Il dilemma del gioco in RS” ed era dedicato proprio al gioco, accoglieva capi c/f (e non solo), tutti con un foglietto colorato appiccicato sulla fronte.
Avete mai provato a scoprire chi siete, indovinando cosa c’è scritto su un foglietto che solo chi vi sta di fronte può leggere? È questione di fare le domande giuste.
In coppie, uno di fronte all’altro, guidati da Pamela e Antonio, i nostri bellissimi IAB regionali RS (guardate la foto se non mi credete), una trentina di capi ridevano, giocando insieme.
Aggiungo, in via del tutto eccezionale, una voce: la voce secondo la quale spesso si sente dire che le riunioni nei nostri clan sono di una noia mortale, perché si gioca poco e si discute come in un programma di intrattenimento senza pubblico, soprattutto se i capi c/f sono capi di lungo corso. È chiaro che qualsiasi tentativo di regolare questa materia – di dire per esempio che cosa si può fare e cosa non si può fare in riunione di clan, chi ne è responsabile, se questa può essere pensata e gestita interamente dai ragazzi, eccetera eccetera – non può che fallire.
Torno, così, velocemente sui miei passi, al laboratorio e alla sensazione di vertigine: Ma perché, appunto, “vertigini”?
Perché il gioco è anche vertigine: è quella sensazione di cadere, di perdere il controllo, ma allo stesso tempo di scoprire un’energia nuova, una forza interiore che non sapevamo di avere.
Il gioco in clan ci insegna a trovare la bellezza anche nelle difficoltà, ad affrontare il timore del vuoto con il sorriso. Se, nelle attività di clan, non proviamo mai quel brivido, quella vertigine, allora forse stiamo giocando il gioco in modo sbagliato.
Il gioco nella branca RS è un linguaggio segreto che fa crescere il cuore e la mente. Non è solo divertimento, ma un modo di scoprire sé stessi e gli altri, di imparare nella gioia. Nel gioco si vive l’avventura di essere qualcosa che sta per qualcos’altro; ci si scopre parte di un insieme più grande, esplorando il mondo con occhi nuovi e con mani pronte ad affrontare ogni sfida. È il respiro della comunità, un ritmo che fa danzare insieme corpi e immaginazione, rendendo ogni incontro un momento speciale di promesse mantenute e condivisioni spontanee. Nel cammino della comunità c’è spazio per tutto: la riflessione, il lavoro manuale, il servizio, ma anche il gioco, la festa e la creatività. Nel gioco, la nostra comunità impara a conoscersi meglio. Spesso, in quei momenti di divertimento, lasciamo cadere le maschere e mostriamo parti di noi che solitamente teniamo nascoste. Sono momenti preziosi, in cui si creano legami speciali, in cui impariamo davvero cosa significa incontrarsi e accogliersi a vicenda. Il gioco ci mette di fronte a situazioni inaspettate, ci costringe a improvvisare, a collaborare, a superare ostacoli. Ed è proprio questo che ci mette nelle condizioni di sentire le vertigini di una vita vera.
Insomma, se quando i capi clan iniziano a giocare vi si aprono gli occhi per la meraviglia… è il momento di lasciarsi andare, togliere le mani dalle tasche, rimboccarsi le maniche e lanciarsi nel gioco.
Mi allontano in silenzio tra gli alberi per non disturbare chi gioca, con la consapevolezza che quello che per altri poteva apparire come una rarità, per me ora è una splendida realtà.
Non c’è altro, se non la consapevolezza, e ne sono felice per questo, di essere stato nel posto giusto.
È un giudizio, ovviamente, personale: questo è un gioco, un gioco da ragazzi, un gioco piccino come le domande che seguono.
“Quanti clan giocano davvero? E quanti sanno perdersi in route su percorsi poco battuti? Nelle riunioni, nelle uscite, nel servizio, soffrite di vertigini?”